IL PRISMA SPEZZATO Gèrard Georges Lemaire
La loro conversazione era disinvolta e gioiosa. Al crepuscolo essi zittirono bruscamente. Dopo tutte quelle ore trascorse a
chiaccherare con leggerezza dei piaceri estenuanti dell'esistenza e delle bizzarrie dei loro contemporanei, una sorta di gravità si era insinuata e li allontanava l'uno dall'altro.
- "Credi veramente che la pittura abbia un avvenire?" - Preso alla sprovvista soprattutto per il carattere solenne e molto serio della domanda, il romanziere ritenne di rispondervi con una boutade o con una delle sue formule lapidarie che gli avevano creato la reputazione di autore cinico e amante dei paradossi. I suoi occhi rimanevano fissi sul bicchiere. Lo portò alle labbra senza peraltro gustare il vecchio Cognac che egli riscaldava nel palmo della mano. Sembrava immerso in una meditazione profonda e un po' triste, che si prolungò fino a diventare fastidiosa. Si raddrizzò d'un tratto, uscendo dalla seduzione di un oggetto invisibile. Con un gesto brutale, mise termine all'attesa dell'amico. Dichiarò improvvisamente: - "Quello che tu ti aspetti da me si trova proprio qui, nel tuo studio, e in nessun altro luogo. Forse la pittura non ha un futuro, ma che importa? Finchè ci sarà un uomo come te che, nella più profonda solitudine, s'accanisce a dipingere delle tele, e fino a quando ci sarà qualcuno come me che persevererà a scrutarle, descriverle e a trovarvi una sorgente inesauribile di gioia, essa non potrà far altro che assicurarsi una sua eternità". - Alzò il bicchiere per salutare il suo interlocutore egli lanciò un'occhiata sarcastica. Quest'ultimo non potè fare a meno di replicare impulsivamente con una sorta di irritazione: - "Tu non mi impedirai di pensare che il quadro sia un campo di esplorazione ormai superato. Come non ritornare alle sue origini, quando la prospettiva dettò le sue leggi matematiche e simboliche per rappresentare l'universo? Questo artificio ha prodotto la forma della finestra attraverso la quale noi contempliamo in quale modo l'uomo ha interpretato e trasformato la terra e il cielo. Ma, in questo secolo noi abbiamo condannato questo simulacro. Abbiamo rotto l'incantesimo. E solo un pazzo come me si ostina ancora e sempre a perpetuare la tradizione, - una tradizione tradita, condannata, schernita. So che inseguirla è folle. So che il quadro è morto. So che la mia arte è la messa in scena di questo sacrificio, di cui io sono sia il sacerdote che la vittima…" - Lo scrittore non fu convinto della sua dimostrazione. Gli disse dolcemente: - "Vedi, tu che sei depositario di una scienza e, ben di più, di una coscienza estetica acuta, tu ti lasci ingannare dalle apparenze. E' la tua passione che ti rende cieco. Tu potresti scrivere un'ode al quadro senza mai dipingerlo. Potresti immaginarne le anamorfosi nello spazio, renderlo infinito o, al contrario, ridurlo a un punto impercettibile. Ciò che conta è continuare a meditare su questo territorio sacro, su questo grande vetro iniziatico che ci rivela la verità delle cose e dei sentimenti. Perché, per esempio, non ipotizzi un'opera che tratti le condizioni materiali e filosofiche delle sue origini? Non vedresti immense finestre attraverso le quali scorrerebbero fiotti di colore fuggiti da un prisma spezzato? Non sogneresti una luce divenuta solida e carica di pigmento che si spargerebbe nello spazio come ultimo scherno e ultimo trionfo della tua impresa impura?" - Il pittore si alzò e alzò gli occhi verso i cieli tenebrosi. Sotto spesse tele di juta aveva accumulato un lavoro di questo genere che non aveva mai voluto mostrare. Il suo segreto era stato svelato quella sera. Odiò il suo amico. Gli chiese di lasciarlo solo e dispose intorno a lui i pezzi misteriosi e inconsueti del suo strano puzzle.
Gérard Georges Lemaire Racconto scritto in occasione della mostra "Emilio Alberti - Finestre", catalogo ed. Galleria Schubert, Milano, 1988. |